Entrevista a Leonardo Sciascia

Ivana Margarese
De la revista INTRAMUROS.

(Il viaggio è inanzitutto esperienza di conoscenza, spazio-tempo di fuga e memoria, di immaginazione e coscienza. La nostra rivista in omaggio al nomadismo contemporaneo e al sentimento creciente della propria storia personale come specchio del collettivo, ha dato vita quest'anno al premio "Viajes con mi cuaderno". Ricordando questa prima esperienza, a cui si darà seguito in futuro, dedichiamo una sezione di questo primo numero web alle note di viaggio, presentando brevi tracce del rapporto che legò lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia alla Spagna.)
"Ma il bello del loro viaggiare era nell'amarsi, nel fare all'amore: come se l'essenza dei luoghi ridiventasse nei loro corpi fantasia; come se fantasia di quei luoghi, o memoria, fossero i loro corpi stessi". L. Sciascia, Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia.

"Se la Spagna, è come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo". Questa fondamentale considerazione di Leonardo Sciascia, contenuta nel saggio Girgenti, Sicilia, apre uno spazio di incontro ampio e coniugato tra la sua Sicilia e la Spagna: come in un gioco di specchi in cui la Sicilia si riflette nella Spagna e la Spagna nella Sicilia.

In un articolo del 1981, lo scrittore afferma : "Ho scritto più di venticinque anni fa, in quello che io considero il mio primo libro: "Avevo la Spagna nel cuore". L'ho ancora".

"Ora quei nomi della città della Spagna mi si intridevano di passione. Avevo la Spagna nel cuore. Quei nomi - Bilbao Malaga Valencia; e poi Madrid, Madrid assediata - erano amore, ancor oggi li pronuncio come fiorissero in un ricordo di amore. E Lorca fucilato. E Hemingway che si trovava a Madrid".

Una testimonianza di ciò la si ritrova in quanto scrittogli da Italo Calvino nel 1964:

"Ma tu hai, subito dietro di te, il relativismo di Pirandello, e il Gogol via Brancati, e continuamente tenuta presente la continuità Spagna- Sicilia: una serie di cariche esplosive sotto i pilastri del povero illuminismo in confronto alle quali le mie sono poveri fuochi di artificio. Io mi aspetto sempre che tu dia fuoco alle polveri tragico - barocco - grottesche che hai accumulato...Sii ispano- siculo e magari arabo-siculo fino in fondo e sarai universale".

I primi vagabondaggi di Sciascia in Spagna si compiono nei libri, e più precisamente nei libri di Ortega y Gasset - iniziato a leggere nel '39. Sciascia definisce l'opera di Ortega y Gasset "un gran libro di viaggio, un viaggio straordinario, avventuroso, ricco di imprevisti e rivelazioni nelle regióni dell'intelligenza". Si tratta di un autentico viaggio della conoscenza, che gli offre le chiavi per leggere il mondo contemporáneo. Dopo Ortega, conosce i poeti spagnoli, a partire da Lorca e Machado, che definisce "il più puro poeta di Spagna", infine la storia di Spagna, con la scoperta di Amèrico Castro.

Gli altri viaggi, i viaggi insieme del corpo e della mente, avvennero più tardi. Il "Corriere della Sera" gli offrì l'occasione di pubblicare degli articoli sui suoi viaggi nella penisola iberica - che furono due, nel 1981 e nel 1984 - e così cominciano a prendere forma su carta tutta una serie di riflessioni sulla cultura, la storia e la vita di Spagna. Il suo legame con la cultura spagnola non è ricercato, ma piuttosto ritrovato, perchè parte della memoria storica e quindi individuale dell'essere siciliano:

" Ma [...] andare per la Spagna è, per un siciliano, un continuo insorgere della memoria storica, un continuo affiorare di legami, di corrispondenze, di "cristallizazioni". E bastano i nomi: di paesi, di strade. Che sembra sentirli risuonare, nella lontana eco del tempo, dalla voce dei banditori: il vicerè Ossuna, il vicerè duca di Medinaceli, il vicerè duca di Maqueda, il vicerè marchese di Villena[...]. I vicerè, gli avidi e infausi vicerè della Sicilia spagnola, non sono soltanto parte della storia siciliana, ma anche coi loro nomi, con le cose che da loro hanno preso il nome, della nostra. La via Maqueda, la piazza Villena, la via duca d'Ossuna...

La storia è diventata toponomastica, la toponomastica memoria individuale".

Qualcuno del resto dice che si parte per tornare poichè ogni uomo reca dentro un suo paesaggio interiore, che potremmo chiamare "paesaggio dell'anima".

Nell' Antimonio, racconto del 1960 sulla guerra civile spagnola, le immagini paesistiche evocate dall'io narrante, un soldato siciliano andato al fronte volontario per fuggire all'antimonio della zolfara, riprendono quest'ordine di somiglianze e di richiami tra Sicilia e Spagna:

"Non so perchè, dei paesi e delle città della Spagna, non ho memoria.[...]Non ho buona memoria per i luoghi, ma per i luoghi della Spagna ancora meno: forse perchè i paesi somigliavano molto a quelli che fin da bambino conoscevo, il mio e i paesi vicini, e dicevo "questo paese è come Grotte, qui mi pareva di essere a Milocca" [...] ed anche a Siviglia mi pareva a momenti di camminare per le strade di Palermo intorno a piazza Marina".

Come in una contaminazione nello spettro visivo, il paesaggio spagnolo si sovrappone a quello siciliano, l'antimonio delle zolfare alla polvere da sparo e alle fiamme della guerra che devastano Madrid:

"Di notte riverberava rosso nel cielo per gli incendi che I nostri aerie andavano ad attaccare[…] Pensavo "l'antimonio, il fuoco" ma così lontano era il riverbero, costava a noi tanto sangue e dolore quella città da allucinazione, che di solito guardavo la rossa aureola di morte come da bambino, in campagna, guardavo le lontane girándole di fuoco della festa di San Calogero".

La metafora è chiara, evidente: il ricordo di infanzia diventa realtà propone ndo una fuga immaginaria, l'umanità prevale sulla stupidità della guerra tra nazioni. A questo punto dalla cruda azione-disazione della guerra raccontata si potrebbe scivolare verso quella del "desocupado lector" del Chisciotte e richiamare un'allegra immagine di viaggio di Sciascia, annotata durante una sua visita ad Alcalá de Henares, città natale di Cervantes, a epigrafe del fatto che la vita resta il nostro viaggio principale, o meglio - come dice l'Edipo pasoliniano nella sua ultima scena - il viaggio finisce là dove comincia:

Nella vasta e armoniosa piazza in cui sorge il monumento a lui dedicato, di tanto in tanto attraversato dal volo lento delle cicogne, il pomeriggio primaverile ha portato intere famiglie. I bambini corrono nei loro giochi; gli adulti se ne stanno in riposo, come assorti. Non è domenica, ma c'è un aria domenicale. Le prime due parole del prologo ci affiorano quasi automáticamente: "desocupado lector". Ecco dei lettori disoccupati, disoccupati al punto che mai leggeranno il libro. Poichè - riposo, speranza e altro - stanno vivendolo.